UN FANTASTICO RACCONTO SU AGEROLA

Nei primi anni ’70, Agerola veniva giustamente denominata “la piccola Svizzera napoletana”. C’erano il cinema,tre discoteche di cui una ,straordinaria , scavata nella roccia ed un'altra a picco sul mare, un circolo del forestiero, molto pregiato a S.Lazzaro, dove si svolgevano finanche tornei di bridge, e uno a Bomerano che organizzava serate danzanti, hotel rinomati, alberghi e pensioni. Ristoranti di eccellenza , pizzerie, trattorie , bar con tavolini all’esterno, aperti fino a tarda notte. La spettacolare colonia montana edificata sulle rovine dell’ottocentesco castello Avitabile , aveva appena chiuso i battenti C’era persino una boutique per giovani: “Lucrezia”, i capi però, arrivavano con un anno di ritardo rispetto alla città. Nel ’75, tuttavia realizzò un grande boom con i jeans UFO (quelli con la bandiera americana sull’etichetta) e le magliette con il volto di Franco Gasparri, idolo dei fotoromanzi. La mattina si andava agevolmente al mare ad Amalfi, la sera una movida tranquilla ma incessante, sia pure limitata ad un semplice “struscio”animava strade e piazze. Nel corso del decennio avevamo visto sfilare persone in pantaloni di gabardine con camicie a collo lungo e l’immancabile pullover sulle spalle, jeans a zampa con i mocassini, oppure stretti in fondo sopra i piccadilly, gonne a fiori e smanicati, zatteroni ,zoccoli olandesi, college, magliette e maglioni da football americano, profumo di brut 33 e patchouli, Capucci e Charlie. Romani e napoletani avevano costruito splendide ville verso Punta San Lazzaro oppure sulla strada del campo sportivo a Bomerano, verso quello straordinario strapiombo sul mare che sarebbe diventato “Parco Corona”.
Eravamo poco più che ragazzini. Le uniche due ruote a disposizione erano quelle di qualche “Graziella” o “Dingo”. Le vacanze non finivano mai. Si ritornava in città solo ad apertura delle scuola, o quando i tempi si fossero definitivamente rotti. Ufficialmente la stagione estiva si chiudeva con i tre giorni di festeggiamenti in onore di S.Maria il 12 settembre. C’erano le luminarie, la banda, le processioni,le bancarelle cariche di dolciumi o torroni dove lasciare in pegno canini e incisivi, ma soprattutto c’era l’esibizione , in chiusura, del cantante o gruppo famoso: Wess, i Dik Dik, Fausto Leali ecc.. Alla fine ,i fuochi d’artificio. Il paese brulicava di gente e, in quell’occasione anche le ragazze del luogo godevano di maggiore libertà, vestivano a festa, e potevano rincasare più tardi. Uscivano a gruppi, seguite a distanza dai ragazzi, alla ricerca di un piccolo spazio, un occasione per incontrarsi segretamente con la copertura di sorelle e amiche. Come conseguenza, il mese di giugno registrava il record delle nascite e nei mesi precedenti si celebravano matrimoni riparatori in quantità. Settembre era il mese più bello di tutti anche se non ci si poteva sottrarre ad alcune incombenze peculiari. Prima di tutte, il confezionamento delle conserve di pomodoro. Tutti erano arruolati per questa irrinunciabile operazione, ciascuno secondo propri mezzi e competenze. C’era l’incaricato al recupero delle bottiglie, preferibilmente le Peroni da 66 cl.con il vetro scuro. Seguivano i lavatori con l’immancabile spazzolone; addetti alla pelatura, passatura e bollitura, imbottigliatori, tappatori ecc. Nello stesso periodo si provvedeva a realizzare le confetture di pere pennate, una specialità di frutto tipicamente agerolese, dalla forma tonda e dal gusto prelibato. Una volta raccolte, venivano generalmente lasciate a maturare nei sottotetti o solai di case rurali o stalle. La vecchia Mariuccia, proprietaria dell’appartamento che avevamo preso in fitto, decana ed esperta di queste antiche tradizioni, ci incaricava di raccogliere quelle pere che, staccatesi spontaneamente dai rami, fossero andate a cadere su qualche terrapieno, muretto, solaio o sporgenza di edifici o stalle (il pennato, appunto), prima che il sole le avesse fatte marcire. Le più gustose e adatte per le confetture e, soprattutto gratuite. Tornavamo con le mani nere e i sacchetti pieni. La ricompensa era costituita da patate sotto brace, cotte con tutta la buccia, tagliate a metà e guarnite con un pezzetto di fior di latte. Non c’era cortile, androne, sottoscala, vascio, purtune o pertosa dove non si svolgessero queste attività. L’aria era pervasa da un pregnante odore acre che andava a sommarsi a quello dei rigagnoli prodotti dalla lavorazione dei latticini che molti locali, praticavano in modo artigianale, negli stessi luoghi. Per alcuni giorni il paese era letteralmente consegnato a mosche, moscerini, tafani, calabroni e vespe (quelle originali, senza motore). Con gli stessi occhi di ragazzini guardavamo transitare e fermarsi gruppi di motociclisti in tenuta da viaggio. Con i caschi professionali, i completi di pelle, gli stivali, e i guantoni ,le fasce elastiche. Arrivavano come orde pacifiche. Erano Sassoni, Marcomanni, Burgundi, Franchi. Non appena entravano in un bar per una sosta, scattavamo come lemuri e, con gli occhi sgranati andavamo a ispezionare da vicino quei bolidi di grossa cilindrata equipaggiati per le lunghe percorrenze , con i borsoni laterali e sopra i serbatoi, tende, sacchi a pelo e vettovaglie. Ci aspettavamo di essere sgridati se, all’uscita ci trovavano attorno alle moto, allora ci stringevamo l’un l’altro, proprio come fanno quei primati, in attesa della punizione. Invece i barbari e pacifici invasori ci sorridevano e ci dispensavano carezze con le loro manone.
Passavano veri discendenti di Odino e Thor con le barbe folte e la carnagione chiara, sui loro maestosi Bmw ma anche texani di Ostia o di Frascati con le classiche bandane e i giubbotti smanicati a cavallo di gigantesche Harley Davison. Conoscevamo tutte le motociclette più incredibili, e nella foga di stupire gli amici, qualcuno giurò di aver visto transitare il mitico Mammuth ,la moto più potente del mondo, unica a montare un motore automobilistico ovvero quello della NSU Prinz 1200 tts a doppio carburatore, oppure il fantastico Hercules DKW con motore Wankel a pistone rotante. Ma erano solo fantasticherie
Seduti sotto il glicine, o sui gradini della Chiesa di S. Matteo, potevamo contenere con lo sguardo tutto ciò di cui avevamo necessità. C’era “Il Capanno” con il juke-box, Il bar Gentile che sfornava splendide graffe ripiene alla crema, la salumeria “Bianca” dove potevamo farci preparare un panino. L’unica bottega che ci metteva un po’ paura e incuriosiva, nello stesso tempo, era la macelleria “Al vitello d’oro”. Era gestita da un omaccione grande e grosso con due baffi spioventi che circolava in una vettura con i sedili ricoperti di pelli di animali. Dotato di una forza colossale, si vociferava che uccidesse i vitelli con una testata e dopo ne bevesse il sangue a litri, che fosse campione nazionale di tiro alla fune e altre dicerie. Dal nostro punto di vista privilegiato, avevamo, di fronte, la strada che portava al mare, alla nostra destra i viottoli che scendevano alla grotta del “biscotto” verso quello che sarebbe diventato, col tempo “Il sentiero degli Dei” e, alle spalle quella che, dopo un lungo cammino, portava alla sorgente. Ogni tanto ci dirigevamo verso queste due ultime destinazioni a passare qualche ora. Portavamo il “gelosino” oppure il mangiadischi per ascoltare la musica. Erano scarpinate interminabili e faticose. Giunti sul posto trascorrevamo il tempo in compagnia di tafani, zanzare, bisce e pipistrelli se andavamo alla grotta; tafani zanzare bisce e sanguisughe alla sorgente. Tornavamo a casa pieni di ponfi ed escoriazioni. Ma l’avventura era l’avventura.
Seduti sulle scale o sul muretto del bar , con le scarpe scalcagnate, i jeans a zampa sfrangiati, i calzini corti e le magliette a righe, imparavamo il mondo col cuore non ancora ammaestrato alle regole della vita. Le ragazze crescevano accanto a noi più velocemente ma non osavamo neanche sfiorarle e le strade che percorrevamo per raggiungere le nostre mete fino ad allora conosciute, conducevano anche in altri luoghi per noi ancora inaccessibili e dunque misteriosi e fantastici. Attendevamo il nostro turno nel mondo consumando quell’inquietudine detta divertimento. Eravamo tutti come nel grembo di una grande madre dove vi fosse ancora spazio per crescere e tempo per giocare.