Cenni storici

Il territorio agerolese è stato raggiunto per la prima volta dagli Osci, l'antico popolo campano nato dalla fusione tra i forti montanari Sanniti e gli Opici, nel V secolo a. C. Gli Osci o Oschi si spinsero fino a Sorrento, attraverso i Lattari, dopo aver fondato la Repubblica Nucerina, che nel 474 a. C. comprendeva i territori di Nocera, Pompei, Stabia, Ercolano e Sorrento. Ritrovamenti di epoca e fattura romana furono portati alla luce nella località Radicosa, nella borgata Ponte e nella grotta di S. Barbara in tempi diversi. In questi siti si scoprono vasi, lucerne, monete dei primi imperatori romani, anfore di varie dimensioni, pàtere per libagioni, ziri vari, laterizi, macine, resti di fabbricati e di cortili, selciati di antiche strade, oggetti in metallo ecc. Tra i diversi insediamenti avvenuti nel corso dei secoli troviamo che nell'89 a.C., quando Stabia e Gragnano furono assalite dalle soldatesche del generale romano Lucio Cornelio Silla, molti profughi dalle zone di Gragnano e di Castellammare si riversarono nei villaggi sulle nostre colline. Più numerosi ancora furono più tardi gli arrivi dei fuggiaschi scampati alle orde barbariche. Ad Agerola ripararono i Sorrentini nella notte del 13 giugno 1558, atterriti dalle stragi e dalle distruzioni provocate da li Turchi giunti con una flotta al comando di Piali Bassà. E allo sviluppo demografico di Agerola contribuirono anche i costaioli per sfuggire ai massacri dei Saraceni.


Agerola dal primo medioevo al periodo longobardo
Allorché Roma si avviò verso una inarrestabile decadenza, Agerola registrò una trasformazione di notevole importanza, perché le invasioni barbariche influirono positivamente sul suo sviluppo demografico. Da più parti la gente si riversò sulle colline dei Monti Lattari in cerca di sicurezza.
Nell'anno 535 l'imperatore d'Oriente Giustiniano mandò Belisario a cacciare i Goti che si erano istallati in Campania. Ci riuscì ma questi ultimi, dopo poco, tornarono nel Meridione. L'imperatore nel 551 fece muovere contro di loro il suo fidato generale Narsete. Il primo scontro si risolse con la vittoria dei Bizantini, ma non finì la guerra.
Tornò alla carica il goto Teia, che si scontrò con l'esercito di Narsete nella violentissima battaglia del 553 sulle colline di Agerola. Pare che la località Pino sia stata teatro di quel sanguinoso corpo a corpo di due giorni durante il quale Teia cadde sul campo ed il suo esercito si disperse disordinatamente.
È di quel periodo la costruzione di alcune chiese nelle nostre contrade, infatti Agerola "fu una delle prime a concorrere per l'innalzamento di edicole, santuarii ed altri monumenti sacri". Sull'opera e il ruolo della Chiesa si fondarono, poi, le opere di beneficenza ed i monti di pietà delle casate Naclerio, Imperati, Cavaliere, Casanova ed il Monte S. Antonio Abate, cui seguì l'istituzione delle congreghe laicali.
Dopo quindici anni di dominazione bizantina, nel 568 i Longobardi, al comando del re Alboino, occuparono la Campania e ne affidarono il governo a Zotone nell'anno 571.
Nella prima metà del 600, i Longobardi beneventani si spinsero fino a Salerno e nel 786 con il duca Arechi attaccarono la Costiera Amalfitana, gelosi della potenza economica di Amalfi. In quella circostanza altri abitanti della Costiera risalirono le nostre colline.
Intanto Amalfi, divenuta una città popolosa ed attiva, si svincolò dal ducato di Napoli ed iniziò il suo cammino verso l'indipendenza.
Agerola, gravitando nell'area amalfitana, trasse un forte vantaggio dalla prosperità di Amalfi, in quanto collocò sul mercato della Costiera i prodotti della campagna, latticini e latte, lana, carboni.

 

Agerola dall'arrivo dei Saraceni al periodo Aragonese

I Saraceni ossia gli Arabi ,depredarono le città ed i villaggi lungo le coste della Penisola Sorrentina, distrussero chiese, derubarono tesori, uccisero persone di ogni età e sesso, incendiarono case e fecero incetta di fanciulle per venderle schiave. Anche il Convento di Cospiti conobbe una visita saracena.
Intere famiglie, per sfuggire ai massacri, ripararono ad Agerola dalla Costiera Amalfitana. Infatti molti cognomi di origine amalfitana sono ricorrenti tra la popolazione agerolese: Naclerio, Apuzzo, Vespoli, Coppola, Casanova, ecc.
Agerola, durante l'imperversare degli assalti saraceni e turchi, divenne terra di rifugiati. Quello che fece onore ai nostri antenati, definiti anticamente rozzi montanari, fu lo spirito di accoglienza che esse riservarono alla gente che vi arrivava sconvolta ed affamata. Troviamo notizia di una fuga precipitosa nella cronaca di uno scampato sorrentino, che raggiunse con altri profughi Agerola nella notte del 13 giugno 1558 "Ante tertiam decimam diem mensis Junii (...) ecce classis Turcharum triremium (...) nos autem mane terram Agerolae petivimus (...)" (nella notte del 13 del mese di giugno (...) ecco la flotta di cento triremi turche (...) noi allora raggiungemmo la terra di Agerola). Il giorno 27 giugno, invece, i Saraceni assalirono la costa di Amalfi.
Nell'anno 1068 finì che anche il Ducato di Amalfi, per l'incapacità e la debolezza del suo governo cadde sotto l'influenza normanna.
Nel 1100 il duca normanno s'impossessò del Ducato Amalfitano, possesso durato a lungo.
Da questo momento cominciamo a trovare notizie di fondi coltivati a rose in Agerola, comunemente chiamati rosari. L'essenza di rose, o acqua rosata, prodotta ad Agerola era particolarmente apprezzata e richiesta dagli aristocratici e cortigiani della Corte di Napoli. Nelle Memorie di Matteo Camera troviamo che "ai tempi medioevali grande coltura ivi faceasi di rose bianche «rosaria» donde si estraevan le essenze e l'acqua distillata da esse piante e cotanto ricercate nelle aule magnetizie.
Nel maggio del 1198 salì al trono di Sicilia Federico II di Svevia, il quale per la sua minore età fu posto sotto la tutela del papa Innocenzo II Il 13 dicembre 1250 Federico II morì a soli 56 anni.
Egli aveva disposto con testamento che il figlio naturale Manfredi reggesse provvisoriamente come Vicario il Regno di Napoli. Ma il papa Innocenzo IV rivendicò la sovranità della Chiesa sul Regno. Allora Agerola chiese al papa alcuni privilegi perduti e Innocenzo IV glieli accordò con bolla del 5 dicembre 1254. Però il suo successore, Alessandro IV, infeudò le terre del Ducato Amalfitano e le assegnò il 9 febbraio del 1254 a Bertoldo, Ottone e Ludovico di Hohembruk, fedeli sostenitori del papato. Manfredi, riacquistato il regno, governò ancora per alcuni anni ad Agerola nel 1257 accordò due privilegi: la inclusione nel Regio Demanio ed il diritto alla nomina di un proprio giudice, purché fosse nativo delle stato amalfitano. Nel 1268 terminò il periodo svevo.
Dell'autonomia agerolese verrà gettato il seme con l'avvento angioino, quando Agerola avrà i primi eletti del popolo ai quali Roberto d'Angiò riconoscerà, nel 1339, il diritto parziale all'amministrazione. Gli eletti avranno all'inizio solo pochi compiti: Ma costituiranno il parlamento civico, ossia l'università.
Agerola con Carlo I subì ancora un infeudamento, perché il re la donò ad un suo ufficiale, che, poi avendo vissuto dissolutamente non solo fece debiti ed esercitò forti pressioni fiscali, ma fece addirittura incetta di merci per rivenderle a prezzo maggiorato.
Il re angioino impose per la prima volta la tassa sul sale. Confermò la gabella del fondaco, sulla pece, sul ferro, sull'acciaro, sullo scannaggio, sulla carne, sul pesce, sull'olio e sul vino. Poi fece applicare l'imposta del mantenimento delle galee contro i Turchi, dovuta anche dagli Agerolesi.
I documenti che riportavano lo stato della popolazione del tempo censita dagli Angioini per fuoco, ossia per unità familiare, nel 1278 registrarono Agerola pro focolafibus 126 et unc. 311/2 cioè 126 famiglie con una contribuzione totale di once 311/2. Agerola era il comune più popoloso dopo Amalfi, che contava 267 fuochi.
Gli Agerolesi (sotto re Carlo d'Angiò) erano soggetti alla leva di terra e alla fornitura di legno da costruzione. Alcuni lavoravano come segatori negli arsenali amalfitani, mentre a Napoli lavoravano nella reggia, nel 1280, i mastri carpentieri Tomaso e Lorenzo Cuomo, Deodato Amalfitano, Andrea e Pasquale di Giustino e Matteo Avitabile.
I giudici di Agerola di quell'epoca, di cui abbiamo notizia, furono Capuano de Casanova nel 1261 ed Iacobo Crisconi nel 1282. Il 14 maggio 1284 Carlo I donò la Terra di Agerola al milite Landolfo d'Aquino per il valore annuo di sessanta once. Gli Agerolesi ricorsero contro tale vassallaggio e si rifiutarono di riconoscere il baiulo, il giudice, il maestro giurato e gli altri funzionari nominati dal vassallo.Ma agli Agerolesi non venne riconosciuta alcuna ragione.
Eppure re Carlo conosceva Agerola, perché si riforniva di carne suina presso il nostro mercante Pietro Iovane, al quale ordinava per conto della corte di Napoli salami, salsicce, prosciutti e pancetta "de porco boni odoris et saporis"(1) (di maiale di buono odore e sapore). La stessa Corte si riforniva anche di "cofinas", cioè dei cofani fabbricati dai nostri cestai con listelli di legno di castagno. Nel 1294 Carlo II concesse la Terra di Agerola al francese Ugone de Sully, ma Ugone rifiutò per cui subentrò il nobile Ludovico de' Monti, al quale Agerola fu ceduta per il valore di cento once. Il 5 maggio 1309 morì Carlo II e gli successe il figlio Roberto d'Angiò. La sua incoronazione costò alle Terre ed alle Città dell'ex Ducato l'enorme somma di oltre quattrocentodue once, pagate a rate. Da parte sua anche il papa Clemente V impose con le decime dei sacrifici alle chiese. All'Arcipretura di Agerola furono chiesti ventiquattro tareni, che vennero prontamente versati. Il sollecito adempimento non piacque al vescovo di Amalfi, per cui il nostro Arciprete subì la condanna ad una pena pecuniaria e, pare, anche un breve periodo di carcere. La scarsa potestà locale, l'inesistenza ad Agerola di forze di repressione, le scorribande dei malviventi esposero ad ogni pericolo la popolazione e le stesse autorità. A questo si aggiunse la peste del 1348. Nel 1381 il duca Carlo di Durazzo, vivendo presso la corte della regina Giovanna, s'impadronì del regno.
I sindaci ed i rappresentanti del Ducato Amalfitano gli espressero il loro favore e chiesero in cambio di essere mantenuti nel Regio Demanio col godimento degli antichi privilegi.
Nel 1398 il re infeudò il Ducato a Venceslao Sanseverino e tolse ad Agerola il privilegio di appartenenza al Regio Ducato. Il vassallaggio ebbe risvolti molto negativi sull'economia agerolese, perché vennero imposti alle popolazioni nuovi tributi.
Nel 1438 Renato d'Angiò divenne re di Napoli e Alfonso d'Aragona, dopo aver preparato il matrimonio tra sua zia Eleonora d'Aragona con il conte Raimondo del Balzo Orsini, donò a loro il Ducato Amalfitano e le sue terre.
Nel 1458 morì Alfonso I d'Aragona e gli successe il figlio Ferdinando.
Sotto Renato D'angiò e sotto Ferdinando ad Agerola, Alfonso fece addirittura arrivare dalla Spagna delle pecore merino che presto si diffusero nel regno.
Un importante documento relativo all'arte della seta ad Agerola è trascritto nelle Memorie di Matteo Camera. Esso riporta tra l'altro: "L'arte principale de questa terra è l'arte di filatori di seta, et vi si lavorano ogni anno circa duemilacinquecento libbre di seta; et tiene perciò in lavoro quaranta filatorii da lavorare et torcere in essi ventimila libbre di seta l'anno; le donne guadagnano in detto lavoro ogni anno ducati tre mila; gli uomini lavoranti ducati mille et trecento; li mercanti che la fanno lavorare guadagnano per ciascheduna libbra almeno tre carlini". Gli Agerolesi durante la guerra tra Angioini ed Aragonesi, si schierarono a favore dei d'Angiò, voltando la faccia a Ferdinando, nonostante questi avesse concesso immunità e franchigie il 20 marzo 1459. Per tutta risposta, i d'Angiò fecero amministrare Agerola da tale Troilo di Montefalcone.
Il 1462 fu il periodo dei Piccolomini.Il 1462 fu l' anno dei Piccolomini. In positivo i Piccolomini assicurarono la quiete pubblica nei comuni di Agerola e Praiano, inviando ad Agerola un capitano ed un governatore con giurisdizione su ambedue i comuni.
Anche allora l'industria della salata di carni di maiale era molto sviluppata. Infatti vigeva un accordo commerciale tra Amalfi e Genova per la fornitura di carni salate ed affumicate provenienti da Agerola.
Nel 1484 era fiduciario dei Piccolomini tale Nicola Pagliaminuta e da questo venne una proposta interessante per gli Agerolesi: costruire una strada cavalcabile da Amalfi a Gragnano attraverso Agerola.
Ma i nostri concittadini si opposero, Temevano irruzioni ed assalti esterni e, soprattutto, infezioni epidemiche, allora molto frequenti. Nel 1493 morì il Piccolomini e gli successe il figlio Alfonso che sposò Giovanna d'Aragona.Siamo ormai verso la fine del dominio aragonese, durato cinquantanove anni; la fine fu segnata nel 1503, quando il Regno di Napoli fu conquistato dagli Spagnoli.
Nel 1500 Agerola fu infestata dalla peste e mentre il morbo imperversava e decimava le famiglie, un nuovo male si abbatteva sulla popolazione, il banditismo. Una banda di malviventi, formata da diversi elementi e sotto il comando di tale Antonio Brancato, si macchiò di delitti e, soprattutto, di ruberie ed estorsioni, quando ecco un'altra sventura: il terremoto del 15 aprile 1561, che recò guasti alle case e fece prosciugare le cisterne a causa delle lesioni nei muri, lesioni che dovettero essere riparate prima che giungesse l'autunno.
Nel 1582 morì anche Giovanni Piccolomini e con la sua morte finì anche il Ducato di Amalfi, durato ben centoventitrè anni, perché la vedova del duca Giovanni subito dopo il decesso del marito mise in vendita il Ducato.
Agerola nel 1583 pagò la sua parte di riscatto e rientrò nel demanio.

 

Periodo Spagnolo

Dopo il 1583 la storia dell'ex Ducato di Amalfi e, quindi, di Agerola si confonde con le vicende del Regno di Napoli.
E da Napoli fu inviato ad Agerola un capitano a rappresentare il potere con giurisdizione anche sul comune di Praiano. Il nostro paese contava allora duecentocinquantatré fuochi ed aveva due settori particolarmente attivi: quello della salata delle carni suine e quello dell'arte della seta, ma non meno famosa continuava ad essere la produzione dell'acqua rosata, distillata dai petali di rose bianche(1). Il celebre profumo e i prosciutti di maiale furono donati dall'Università agerolese al viceré di Napoli Francesco de Castro quando, il 13 aprile 1602, venne sulla tomba di S. Andrea ad Amalfi.
Corruzioni, miseria, discordie e pestilenze, cui si aggiunse la drammatica eruzione vesuviana del 1634, resero critica la situazione nel Regno Napoletano. Le difficoltà e l'inquietudine culminarono nella rivolta di Masaniello del 7 luglio 1647 contro Filippo IV ed il suo viceré Arcos. Agli sconvolgimenti a Napoli parteciparono anche due Agerolesi: Andrea e Giambattista Naclerio. I due fratelli furono tra quelli che diedero inizio ai tumulti nella notte del 6 giugno 1647 coll'abbruciamento del casotto della gabella della frutta di Piazza Mercato. Giambattista, che aveva pur reso servigi al viceré Arcos, il 10 luglio fu catturato e fatto gettare in mare. Andrea riuscì miracolosamente a salvarsi. Anche alle porte di Agerola avvennero fatti sconvolgenti. Infatti i cittadini di Gragnano si rivoltarono contro i soldati spagnuoli. Verso le tre e un quartodel pomeriggio del 14 maggio 1685 e alle quattro e tre quarti del pomeriggio del 5 giugno del 1688 ebbero luogo forti scosse di terremoto. Risultarono danneggiate molte case e cisterne.
Il papa Innocenzo XI, avuto notizia delle grave situazione determinatasi specie dopo il secondo movimento tellurico, inviò alle popolazioni una cospicua somma per il sollievo dei danneggiati.
Intanto nel 1693 moriva il cardinale Lorenzo Brancati dei baroni Brancati, fondatore del monastero per monache di clausura eretto nel casale Campora e dedicato a S. Teresa.
La rivolta di Napoli e gli sconvolgimenti di Gragnano non passarono inosservati agli occhi degli Agerolesi.
Il nostro paese mancava di strade rotabili interne ed esterne, era amministrato da un parlamentino che si rinnovava annualmente in modo del tutto antidemocratico, aveva una popolazione che viveva di stenti. La piccola borghesia, formata da poche famiglie, era l'unica classe sociale che conoscesse il bene.
Il nostro bracciantato era costretto a lavorare con salari da fame e con compensi in natura, dazi e gabelle erano applicati spesso in modo del tutto cervellotico dalla classe dirigente. L'industria silvana e l'attività artigiana del legno, nelle quali lavoravano mastri d'ascia, tagliatori, cepponatori, segatori, mannarari, cestai, carbonai, manucari e sassolai non garantivano che redditi molto modesti.
In compenso le calcare, probabilmente in numero di quindici, sfornavano due prodotti molto richiesti, la calce e le carbonelle.
Agerola aveva nel 1705 duemilatrecentoquattro abitanti in maggior parte dediti all'agricoltura ed all'allevamento, il cui sviluppo era molto contenuto per difficoltà di commercializzazione. Tiravano l'arte della seta e la salata della carne suina.
Nella città di Napoli i nostri mercanti di seta costituivano un gruppo della piccola borghesia ed eleggevano un loro rappresentante. A Napoli giungevano da Agerola con barche in partenza da Castellammare, frutta, manufatti artigianali e nevi compresse per la confezione di sorbetti.
Tuttavia, per la maggior parte della popolazione, le ristrettezze economiche si acuirono ulteriormente, per cui gli Agerolesi intensificarono il consumo di pane confezionato con granodindia, ossia con granturco, evitando di panificare con la costosa farina di grano colpita da gabella elevata.
Aumentano le famiglie con una certa costanza, diminuisce la media dei componenti dei fuochi. Aumentano le famiglie abitanti in casa propria.

 

Periodo Borbonico

Con l'avvento sul trono di Napoli dell'infante Carlo di Borbone, divenuto re nel 1734 sotto il nome di Carlo II, ebbe termine il vicereame durato duecentotrenta anni ed iniziò l'opera dei Borboni. Egli coniò nuove monete, represse la baldanza dei malviventi, pose fine agli abusi dei baroni e dei funzionari scorretti. Nel '700 gli arcivescovi di Amalfi mons. Michele Bologna, Pietro Agostino Sforza ed Antonio Puoti lasciarono interessanti notizie su Agerola, le sue chiese, le istituzioni, il clero, il laicato, l'istruzione.
Dalle loro relazioni si apprende anche che ad Agerola era molto diffuso l'analfabetismo e che molti sacerdoti ebbero l'ordine di farsi carico dell'istruzione dei fanciulli e delle fanciulle personalmente o per mezzo di buoni ed illustri uomini di ciascuna parrocchia.
Il 6 settembre 1759 Carlo II rinunziò al trono di Napoli a favore del figlio Ferdinando IV di Borbone.
Durante il regno di Ferdinando due calamità drammatiche colpirono Agerola, la disastrosa alluvione del 19 gennaio 1764 e la terribile pestilenza scoppiata nell'estate dello stesso anno. Gli Agerolesi, perdurando le difficoltà di viabilità coi centri vicini,furono costretti ad importare ed esportare derrate ancora su impraticabili strade di montagna con tutte le conseguenze del genere.
A sua volta la comunità dovette pagare gabelle e dazi ai gabelloti ed ai quattro esattori scelti dall'Università.

 

Agerola e la Repubblica Napoletana del 1799

Quando nel 1799 fu proclamata a Napoli la Repubblica Napoletana nelle piazze dei comuni del Regno, alla notizia degli eventi, si piantò l'Albero della Libertà, come simbolo del nuovo ordine repubblicano.Le autorità comunali di Agerola piantarono l'Albero nella frazione Campora, probabilmente nella piazzetta attigua alla chiesa di S. MartinoVescovo. Ovunque si innalzava intanto l'Albero e si manifestava. Ma presto gli umori cambiarono nei confronti dei Francesi.
A contrastarli, a febbraio, fu la flotta inglese che sbarcò sulle spiagge di Castellammare, sotto la protezione delle batterie di bordo,cinquecento soldati. Fin dai primi scontri ci furono morti, feriti e distruzioni di vario genere. Alla fine Castellammare cadde nelle mani dei Borbonici. I Francesi allora assalirono Gragnano e gli Agerolesi, con un gesto di grande altruismo e generosità, fecero pressione sull'Università affinché si portasse aiuto ai Gragnanesi ."Doversi darsi soccorso alla Città di Gragnano, che sta (va) combattendo con la seducente Repubblica." L'invito fu immediatamente raccolto dai presenti, dai quali unica voce si rispose di armarsi gente in ajuto di detta Città di Gragnano. I volontari furono armati ed inviati sui luoghi dei combattimenti, ma non si hanno notizie sul loro impiego e sulla loro sorte. La situazione non migliorò quando i Francesi, ritornati a Napoli ad opera di Napoleone Bonaparte, ebbero come nuovo re Giuseppe Bonaparte, fratello del grande imperatore (ventennio francese).
Gli annosi problemi di Agerola vennero ereditati dal XIX secolo.

 

I Primi anni dell'Ottocento Agerolese

Finita drammaticamente la triste esperienza della Repubblica Napoletana del 1799 e tornati i Borbone a Napoli, alcuni briganti agerolesi dopo essere stati mobilitati assieme al famigerato Pasquale Lauritano dagli Inglesi per contrastare i Francesi, fecero ritorno ad Agerola. L'unico a non dare più notizia di sé fu proprio il Lauritano, che dicesi perduto nei meandri della delinquenza napoletana.
La vita agerolese di allora, dobbiamo ribadire che essa era grama a tal punto che i nostri facchini e i filaseta emigravano e che la carne, per la maggior parte della gente, era un cibo inaccessibile.La povertà si ripercuoteva non solo sulla salute delle persone, ma anche sullo stato delle abitazioni e dell'abbigliamento. Le donne di allora lavoravano al pari degli uomini in campagna, in casa e talvolta anche in montagna.
Un contributo positivo al miglioramento dello stato di salute dell'economia agerolese fu apportato dalla coltura della patata. Il tubero, introdotto in Campania all'inizio del Settecento e ad Agerola nel 1782, non solo fu un cibo economico per la nostra gente, ma ebbe largo impiego anche nell'alimentazione animale. La varietà biancona di Agerola venne coltivata su larga scala perché molto richiesta dai mercati vicini.
La sua fama s'impose all'attenzione delle autorità provinciali, al punto che l'intendente Ferrante impartì a tutti i sindaci ed ai parroci della provincia di Principato Citeriore istruzioni sulla coltura, conservazione e condimento della patata cui fece seguire un invito a svilupparne la coltivazione così come "in tenimento di Agerola, emporio della patata di maggiore possibile perfezione".

 

Gli Aneliti Risorgimentali

Al movimento liberal-carbonaro, che ormai dilagava un po'ovunque e che dava inizio al vasto processo risorgimentale, aderirono don Giuseppe Naclerio, parroco di S. Pietro Apostolo del casale Pianillo, don Melchiorre Acampora, parroco del casale Campora, don Vincenzo Villani, parroco di S. Matteo Apostolo nel casale Bomerano ed alcuni cittadini, tra i quali Costantino e Salvatore Fusco e Ferdinando Avitabile.
Intanto dopo la nascita della Carboneria ad Agerola sorse anche il movimento della Giovine Italia. E si sentì parlare di repubblica. L'artefice della diffusione delle idee rivoluzionarie tra la gioventù colta agerolese fu il nostro concittadino Antonio De Stefano, mercante in Napoli. Il De Stefano, convinto della bontà del pensiero mazziniano, sostenne coraggiosamente e generosamente la richiesta della Costituzione.
Arrestato e processato, fu condannato al carcere con isolamento nell'isola di Ventotene. Liberato a seguito dell'arrivo di Garibaldi a Napoli, il De Stefano riuscì a far parte della Guardia Nazionale per battersi contro il brigantaggio.
Mentre i Mille avanzavano in Sicilia a seguito dello sbarco del 17 maggio, ad Agerola imperversava un'allarmante miseria, perché s'era verificata una magra produzione di castagne e patate. Terminata l'impresa garibaldina sul Volturno ed essendo fuggito
Francesco II, ormai gli avvenimenti ci legavano alle sorti del resto d'Italia.
Perciò qui ad Agerola si respirò aria di attesa, tra l'entusiasmo di alcuni liberali e l'apprensione e lo sconforto dei filoborbonici.
Il 21 ottobre 1860 si ebbe la prima reazione popolare: per le strade e nelle chiese agerolesi si inneggiò apertamente a Francesco II di Borbone e si manifestò contro la Casa Savoia. A queste prime forme di reazione antiunitarie, seguitò un fenomeno ben più grave, quello del brigantaggio. Nel 1863 imperversa ad Agerola il brigantaggio.
La nascita di due bande, quella di Giuseppe Apuzzo, detto 'o Cascettone, e quella di Francesco Vuolo, 'o Viettechese, fu causa di molti disagi tra la popolazione, per cui la Beneficenza dovette assistere alcuni travagliatori della montagna che non potevano, per motivi di sicurezza, andare a lavorare nei boschi. Un nostro concittadino, don Gennaro Avitabile, Commissario Straordinario al Comune, si pose coraggiosamente a capo della Guardia Nazionale ed inseguì alcuni briganti.
L'impresa non fallì perché i suoi commilitoni furono all'altezza della situazione. La Guardia Felice Coccia si meritò sul campo la Medaglia d'Argento al valore. Nel 1864 il brigantaggio alzò il tiro e sequestrò in località S. Croce il marchese Stanislao del Tufo, in viaggio verso Agerola assieme ad altre persone.
La liberazione del sequestrato avvenne soltanto dopo qualche giorno.
Le spese per la repressione dei briganti divennero molto pesanti ed altrettanto gravose furono quelle per assistere i numerosi poveri, cui si sommarono gli assegni ai familiari dei malviventi catturati e deportati in Sardegna. Finalmente nel 1871 si ebbe la fine del brigantaggio.
Il capobanda Pietro Oliva fu assassinato dagli stessi seguaci che componevano la sua cricca. La fine del temibile brigante cancellò le apprensioni di un'intera popolazione. Quando il cadavere di Oliva fu trasportato in piazza S. Lazzaro e venne riconosciuto dai cittadini e dal sottoprefetto di Castellammare, si tirò un respiro di sollievo.Ma altra cosa importante di questo periodo fu che nel 1875 ebbero finalmente inizio i lavori di costruzione della rotabile con il brillamento di una mina fatta esplodere ai piedi della collina Palombelle. Dopo questo evento l'Amministrazione Comunale, il 18 agosto
1875, esaminò il primo progetto d'arte delle rotabili interne, Agerola sembrava come essersi svegliata da un lungo torpore e le ambizioni degli Agerolesi non avevano più freno. L'opera venne completata il 23 agosto 1880 con l'ultimazione della galleria delle Palombelle. Dopo l'abbraccio delle squadre di minatori, furono distribuiti taralli a tutti e si attinse vino dalla grande botte sistemata davanti alla galleria. Contemporaneamente venne cementata nel muro d'ingresso una lapide marmorea. A distanza di un secolo circa, dopo il secondo conflitto mondiale, a causa dell'aumentato traffico ed essendo disadatto al transito degli autoarticolati di lunghezza maggiore, di fianco al vecchio traforo è stata costruita una moderna galleria con il finanziamento dell'Azienda Autonoma delle Strade Statali. Essa è entrata in esercizio il 10 novembre 1984.
Alla fine dell' '800 ad Agerola allora erano tempi duri, perché c'erano miseria, disoccupazione, usura e vendite giudiziarie. Gli Agerolesi abbandonavano la propria terra perché le condizioni della piccola proprietà contadina erano catastrofiche e quelle del bracciantato ancora peggiori. La retribuzione di una giornata di zappa veniva pagata una lira, mentre il costo del pane era di ventotto centesimi, quello di un sigaro sette centesimi, di un rotolo
di caciocavallo lire una e centesimi trentasei.
Gli Agerolesi non ebbero altra scelta che emigrare verso un paese ricco dove si trovasse lavoro: l'America del Nord.
Una successiva massiccia emigrazione di Agerolesi si è avuta dopo il secondo conflitto mondiale, quando i nostri giovani, ai lavori nei campi hanno preferito quelli nell'industria e sono partiti per l'Inghilterra, per la Germania, la Svizzera, la Francia e l'Italia Settentrionale. Né mancano Agerolesi in Australia, Venezuela, Argentina e Brasile.
Nel 1906 venne fondata l'Associazione Pro-Agerola, cui aderì il nostro Comune per incrementare il nascente movimento turistico. Non si hanno notizie storiche certe e documentate circa la costituzione dell'Associazione risalente certamente all'inizio secolo; ciò è testimoniato dalle cartoline sulle quali vi era impressa la dicitura «Pro Agerola». L'associazione risulta ufficialmente fondata il 5 gennaio 1950 a seguito di atto del Notaio Quaranta, voluta da 15 agerolesi. Nacque nella sede del Consorzio del latte dei Monti Lattari.
Gli scopi principali erano: promuovere il turismo attraverso la tutela del territorio, la propaganda e il miglioramento dei servizi.
È stata iscritta all'albo delle Pro Loco con decreto del Ministero del Turismo (Achille Corona) il 3 aprile 1967. Il suo primo presidente è stato l'avv. Alessandro Veralli.
Con lo scoppio della Prima Guerra Mondiale molti soldati agerolesi furono chiamati a combattere e purtroppo molti morirono e le medaglie di bronzo al valore militare attribuite ai nostri soldati furono numerosissime.
Un eroe, Raffaele Esposito classe 1884 morirà invece ad Agerola il 30 novembre 1989 all' età di 94 anni. Era l' ultimo superstite della celebre "Beffa di Buccari", l' attacco alla flotta mercantile austriaca che ebbe come protagonista Gabriele D' Annunzio insieme con Costanzo Ciano padre di Galeazzo Ciano, genero di Benito Musssolini. Raffaele Esposito meglio conosciuto ad Agerla come "Don Raffaele" è stato per gli agerolesi una vera e propria istituzione in carne ed ossa.